Lo ricordo bene. Passeggiavo solo in Piazza dei Signori a Treviso. Una bella donna mi passò a fianco. Aveva lo sguardo profondo, il suo apparire era semplice ed elegante. Aveva un abito rosso, le scarpe nere, i capelli leggermente spettinati. La sua persona aveva colpito profondamente il mio interesse. Senza tentennamenti e contro la mia abituale timidezza l’ho invitata per un caffè al bar ”Ai Soffioni”, lì vicino. Mi disse un sì stupito e sorpreso, con un sorriso lieve. Mi presentai. Lei mi disse il suo nome: Costanza. Dopo un bella e appassionata conversazione diventammo amici. Mi disse: “Ti insegno ad usare la costanza e l’immaginazione a tuo favore. Coltiva ogni giorno lo sguardo, il tuo pensiero e la tua personale visione del mondo perché sei unico. Ascolta le persone che ti sono vicine, ma poi mettici sempre del tuo in ogni cosa che fai.”


Da allora ho riflettuto su cosa realmente mi piaceva fare più di tutto. Ho capito che disegno da quando ero bambino con una passione che solo ora comprendo. Ricordo - e mi commuovo - nel pensare quando mia mamma mi faceva il ritratto a matita con segno accademico su foglio di carta da schizzi. È a lei che dedico questo progetto che è in continuo divenire. Questo sforzo giornaliero è libertà non costrizione. Alimento ogni giorno il cervello che si trasforma: coltivo lo sguardo che non è mai quello del giorno prima e non sarà mai quello del giorno dopo.